La voce giusta

Lilith Moscon

Tre secoli fa, a Firenze, aveva il suo laboratorio Bartolomeo Cristofori, l’inventore del fortepiano.
Bartolomeo Cristofori era un artigiano di Padova che si trasferì nella capitale del Granducato di Toscana per entrare al servizio del principe Ferdinando de’ Medici.
Durante i suoi anni fiorentini mise a punto il fortepiano, un pianoforte costruito interamente in legno.
Oggi, nel capoluogo toscano, ha sede un’accademia che porta il suo nome e che ospita concerti di musica da camera, conferenze e master classes.

 

L’edificio adiacente all’accademia è un laboratorio di restauro specializzato nel recupero e nella manutenzione dei fortepiani.
Decido di visitarlo.
Ad aprirmi la porta è Donatella Degiampietro, fondatrice del laboratorio.
Donatella è una donna fine, minuta.
La seguo, mentre mi fa vedere il suo spazio di lavoro.
Le casse, le tavole armoniche e i telai dei pianoforti antichi formano architetture complesse simili a città con strade, edifici, ponti e corsi d’acqua.
Donatella riceve queste città distrutte – i pianoforti antichi danneggiati – e mi dice che la prima cosa importante da rilevare è l’entità dei danni.
«Ogni strumento è unico», aggiunge, «e ha una vita unica che è possibile conoscere attraverso un’attenta ricostruzione storica e un’analisi dei dati».
Donatella è terapeuta – lei ride quando glielo dico – nel guardare le parti degli strumenti musicali che hanno bisogno di essere restaurate. E detective, nel compiere le ricerche storiche per risalire ai materiali con cui erano state costruite in origine.
A volte, alcuni particolari, rivelano l’identità del costruttore.
Questa informazione guida la scelta del materiale da usare per il restauro: pelli, stoffe, feltri.
«Le soluzioni da adottare devono essere consone alla storia e all’epoca dello strumento», mi spiega.
Il restauro è un’arte che richiede rigore filologico e passione per lo strumento che si ha in cura.

 

Donatella dice di amare il pianoforte almeno dagli anni Ottanta, da quando lavorava al Metropolitan Museum di New York, nel dipartimento di strumenti musicali antichi.
Il  laboratorio fiorentino di restauro esiste da trent’anni.
Trenta sono più o meno gli anni in cui Ilide Carmignani ha lavorato come traduttrice di Luis Sepúlveda per l’Italia.
Nel suo libro Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba, edito da Salani, intreccia una biografia dello scrittore cileno con una favola.
Nelle ultime pagine del libro, si legge:

 

“Per scrivere questa piccola biografia, ho attinto a un’enorme quantità di materiale accumulato in quasi tre decenni”.

 

Anche scrivere una biografia e tradurre richiedono rigore filologico.

 

“Una vecchia metafora sostiene che tradurre è come mettere i piedi nelle orme dell’altro, ed è grande lo sforzo per misurare esattamente il passo […]” racconta Ilide Carmignani.

 

E io riesco a vedere Ilide prendere le misure. E così Donatella, con le sue colleghe Barbara Mingazzini e Antonella Conti. Le vedo mentre si accertano che la voce proveniente dal loro operato, sia quella giusta.

Lilith Moscon

È laureata in filosofia, diplomata in psicodramma presso l’Istituto Psychodramaforum di Berlino e in Linguaggio Sensoriale e Poetica del Gioco presso il Teatro de los Sentidos di Barcellona. Collabora con la rivista online Doppiozero e con la casa editrice Telos in qualità di formatrice. Ha pubblicato diversi libri per ragazzi tra cui Vedo, non vedo, vedo più in là (Einaudi Ragazzi), Un regalo para Nino (A buen paso), Monsieur Magritte (Libri Volanti), Il ragazzo dal mare negli occhi (Telos Edizioni). Il suo ultimo libro è Bestiario Familiare (Topipittori Edizioni), con le illustrazioni di Francesco Chiacchio. www.lilithmoscon.com

Lettura consigliata
Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba
Ilide Carmignani
Questa è la favola di Sepúlveda, autore indimenticabile di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e di molti altri romanzi, ed è essa stessa la storia della sua vita raccontata a un gatto. Nato in un bel giorno di primavera in un albergo nella terra ai confini del mondo, Luis, detto Lucho, comincia il suo racconto dai nonni e dall’infanzia a Santiago, per poi ricordare il primo amore e l’incontro con Carmen Yáñez, sua compagna della vita. Il gatto lo ascolta parlare dell’entusiasmo per l’elezione di un presidente chiamato Allende e del tragico golpe che lo costringerà all’esilio, della lunga esperienza in Amazzonia accanto agli indios shuar, fino all’arrivo ad Amburgo, dove, in una realtà tutta nuova, inventerà la favola della gabbianella per far addormentare i suoi tre bambini. Una vita avventurosa, generosa e intensissima, ‘incandescente’ come dice lui stesso, narrata come una favola dolce e forte – così d’altronde era lui – da Ilide Carmignani, sua traduttrice e amica. Una favola sì, ma un esemplare atto di restituzione, monumento a uno scrittore e all’amore verso la letteratura che crea legami: libro composito fatto di stratificazioni, libro dentro libro, narrazione dentro narrazione, scrittore dentro scrittore, traduttore dentro traduttore. L’autrice, forte di un’intimità di carta con il narratore cileno, ha riversato con grazia in questo libro tutto l’affetto verso Sepúlveda trovando una forma, un’architettura e una voce tutta sua e perfettamente intonata a quella dello scrittore. Perché chi traduce è come se mettesse i piedi nelle orme dell’altro. Come scrive Carmen Yáñez, Sepúlveda ‘attraverso il genere della favola, creando personaggi ispirati dalla grandissima intesa che aveva con la natura e con gli animali, ha esaltato i valori di cui era fatto per passare all’umanità i concetti etici della diversità, dell’uguaglianza, del rispetto dell’altro e della solidarietà. La sua posizione personale di uomo e di cittadino del mondo. Era quella la miniera della sua immaginazione’. All’immaginazione e alle favole di Luis Sepúlveda, anche a quella della sua vita, rimarremo quindi sempre legati. «Un giorno di tanto tempo fa bussò alla nostra porta un umano grande e grosso, con barba, baffi e capelli neri. Somigliava straordinariamente a Zorba, un mio vecchio amico, come gli umani somigliano sempre al loro gatto o al loro cane. Non aveva gli artigli lunghi come un cerino, ma il sorriso invisibile era lo stesso. Capii allora con emozione che era il famoso Luis Sepúlveda, l’intrepido marinaio che a bordo di minuscoli gommoni arcobaleno bloccava le petroliere che tentavano di sversare la peste nera in mare ,il coraggioso giornalista che svergognava i colpevoli sui giornali, lo scrittore che dava voce alle creature che non avevano voce, insomma l’umano più famoso e più amato dai gabbiani e dai gatti del porto di Amburgo e di tutti i porti dove miagolano gatti e volano gabbiani».