La gatta siamese della mia terapeuta soffre d’incontinenza.
Per fare fronte a questo problema, la mia terapeuta compra pannoloni di taglia extra large. Li apre e li dispone sul canapè e su due poltrone dello studio. Rimangono, senza pannolone, la mia sedia e la sua.
Ho quattro occhi che mi guardano quando parlo, quelli della dottoressa e quelli di Virginia, la gatta.
Accanto a me c’è un cestino ricolmo di caramelle: gelatine alla frutta, bonbon al miele, mentine e quadrati solidi, compatti, al gusto d’orzo.
Lo zucchero funge da ricompensa quando riesco a raccontare questioni scomode alla dottoressa, senza cercare di minimizzarle.
Il rumore dell’involucro delle caramelle tra le mie dita, cattura l’attenzione di Virginia, che prende a fissarmi, con i suoi occhi da sfinge.
Virginia è per me, a tutti gli effetti, la sfinge della dottoressa.
Rimane eretta per tutto il tempo della seduta, pronta a fulminarmi se mento – fosse anche per tentare di rendere esteticamente più accettabili le mie miserie. Le sfingi non tollerano i giri di parole e le menzogne. Con loro bisogna venire al sodo.
Attribuisco un significato ai movimenti della sfinge che soffre d’incontinenza. Provo a decifrarli e a trovare una corrispondenza tra lei e me. Mi lascio guidare da una fede pagana, la stessa che animava eroi omerici, pizie e aruspici a esaminare le interiora degli animali, il volo degli uccelli e la superficie del mare per leggere il presente e il futuro.
Io esamino Virginia.
Non c’è rimedio migliore per l’ansia che credere che la propria sorte sia inscritta nelle cose della natura. Che non dipenda unicamente da noi.
La parola sorte è imponente, gravosa.
I greci chiamavano la sorte moira e la concepivano come una dea o una triade divina costituita da Cloto, la filatrice della vita, Lachesi, la fissatrice della sorte, e Atropo, la irremovibile fatalità della morte.
Io concepisco la mia sorte, la mia moira, come la signora degli elefanti.
È Moira Orfei, col suo sorriso, con il suo neo accentuato sopra il labbro, i suoi capelli raccolti a mo’ di turbante. È la figlia della funambola Violetta Arata e di Riccardo Orfei, conosciuto come clown Bigolon.
La mia sorte sfila sul dorso di pachidermi e, al suo passaggio, tremano le strade e i vetri delle finestre.
«Eccola che sta arrivando», dico alla dottoressa.
Lei rimane impassibile.
«Guardi che farà molto rumore», aggiungo.
La dottoressa soffoca uno sbadiglio.
Immagino che sia stufa di me. È che io non riesco ad andare incontro alla domatrice di elefanti. Non vedo come possa essere, lei, la mia sorte: una signora vistosa, sprezzante del rischio e del pericolo.
«La vada a conoscere, non sia sciocca», m’incalza la dottoressa. «Si comporti da oceano, una volta tanto, e non da lago, che le acque più ferme sono le più putride».
Mi fisso su quest’ultima frase che ha qualcosa di perfido e di oracolare.
Non nascondo di sovrapporre spesso la dottoressa a un oracolo. Confido nei suoi responsi e nei poteri taumaturgici della sua gatta siamese.
Siamesi, erano anche le gatte della traduttrice, autrice e astronoma Lisa Morpurgo di cui scrive Melissa Panarello nel suo ultimo libro uscito per la collana “Mosche d’oro” di Giulio Perrone Editore.
“La signora Lisa Morpurgo, canuta e vestita in total black, indossa delle scarpe che negli ultimi anni sono tornate assai di moda, degli zoccoletti di cuoio che ricordano quelli delle contadine svizzere che di mattina vanno a mungere le vacche. Nella stanza sono presenti mobili di legno, tre stampe antiche, un piccolo quadro sopra un termosifone. È la tipica casa italiana della media borghesia, raffinata, sobria, con qualche oggetto di porcellana disseminato qua e là.
L’appartamento si trova al primo piano, vi si accede dalla corte interna di un condominio – anche questo tipico – di case da ringhiera. Il buio, dentro le poche stanze, scende presto.
Da quello che gli allievi riescono a vedere, nonostante quasi un ventennio di lezioni a cadenza mensile, sembra che l’appartamento abbia solo quella stanza, la cucina, l’ingresso e il bagno. Non sanno nemmeno dell’esistenza di Dolly, gatta siamese che potrebbe apparire centenaria perché da sempre al fianco dell’astrologa. E invece sono state tante le Dolly nella vita di Lisa, tutte femmine, tutte siamesi, quando ne moriva una veniva rimpiazzata con un clone.”
Lisa Morpurgo ha indagato le corrispondenze tra cielo e materia come io – senza l’intelligenza e la preparazione di Lisa Morpurgo – indago le corrispondenze tra il mondo esterno e il mio destino, tra lo sguardo e i movimenti di Virginia e il mio destino.
Prima o poi dovrò conoscere Moira, la domatrice di elefanti e di colombi che saluta il suo pubblico percorrendo il perimetro del circo su un carro trainato da cavalli.
Dovrò compiere con lei questo movimento circolare fino in fondo perché “i cerchi – come scrive Melissa Panarello – si chiudono sempre, guai a lasciarli socchiusi”.