Siamo a letto e un po’ ti odio perché hai già cercato di lasciarmi, e perché fa caldo e perché domani mattina presto parto.
Mi stringi fortissimo una mano, io ho la testa appoggiata dell’incavo della tua nuca: lì mi sembra di essere protetta da te, per il resto ti proteggo io, da me e da te. Per quanto caldo e per quanto tutto, ho voglia di stare lì. Ho sempre voglia di stare con te un po’ di più. Infatti dici sempre – sempre in questo poco tempo da che ci conosciamo – che con me fai tardi, e anche stasera è tardi.
Da una mensola ci osserva un Pothos e ogni tanto se il vento lo muove viene ad accarezzarmi l’orecchio. Non conosciamo il suo nome, l’abbiamo trovato poche mattine fa in questa casa torinese, lo hai annaffiato e io lo chiamo Futura come in una canzone di Lucio Dalla. Fuori, a neanche un chilometro da qui, c’è il Climate Camp, dove eravamo fino a poco fa e dove ci sentivamo abbastanza immersi nella crisi climatica da essere quasi felici – potevamo dare in cambio i nostri verbosissimi ego per qualche ora di noi. Noi due, noi e tutte le persone che c’erano, noi e questo Pothos che ci aspettava a casa.
Ora invece siamo a letto, tu hai cercato di lasciarmi, o viceversa, e nonostante il caldo e il sudore ci aggrappiamo alle nostre mani, gambe e schiene come se potessimo andare alla deriva da un momento all’altro, come se i mari si alzassero sotto il materasso e le correnti salate ci trascinassero altrove. Se tu allentassi la presa sulla mia mano, o se io allontanassi la fronte dalla tua nuca, scivolerei via. Lontanissimo. Invece di stare qui ancora, ancora un po’ di più.
Le nostre teste sui cuscini rimuginano, inquinate da pensieri gonfi, bolle flaccide di pensieri a cui si appiccicano idee simili a mosche. L’idea che non funzioniamo, che siamo fatti così e non sappiamo far di meglio, che abbiamo troppo passato addosso per essere nuovi, che ci facciamo male, che ci fa male la paura di farci male o di fare male: mosche che finiscono incastonate nelle bolle di pensieri, prima ancora che qualcosa davvero abbia potuto farci del male.
Dovremmo essere insieme, prima di poterci lasciare. O dovremmo essere insieme per poter litigare. Allora avremmo mille motivi.
Perché io mi dimentico di bagnare il Pothos e tu compri ancora le bottiglie di plastica, perché tu vuoi andare a letto presto e perché io sono sempre in ritardo, perché a me piacciono troppe cose diverse e perché tu hai troppe idee su te stesso, per come si educa un figlio, se è bene avere un figlio al giorno d’oggi, per i miei spazi e per i tuoi tempi, perché c’era scritto anche sul libretto delle istruzioni che leone e ariete litigheranno spesso.
Invece niente, solo mosche e paure a inquinare la testa e farci dormire male. Neanche il tempo di litigare, mentre la realtà ora è solo che la mia guancia sulla tua nuca è un incastro perfetto. E che starei con te ancora un po’ di più.
E poi una folata di vento arriva da fuori, entra in tutte le stanze, sbatte in una volta tutte le porte, tutti i vetri delle finestre lasciate aperte, ché con sto caldo non si respira, e tutto trema, anche i muri, anche noi per un attimo, il Pothos barcolla nel suo vaso, volantini e appunti si alzano in volo. È solo un temporale, di acqua ne mancava da settimane, ma tutto il giorno abbiamo parlato e sentito raccontare di eventi atmosferici estremi, cicloni dove non ce ne sono mai stati, allagamenti e trombe d’aria d’ora in poi all’ordine del giorno, e per quell’attimo in cui il vento entra come un demone in casa, abbiamo paura. Abbiamo paura tutti, anche il Pothos. Io mi sono già alzata, ho chiuso porte e finestre, raccolto qualche foglio. Tu hai raddrizzato il Pothos e l’hai avvicinato un po’ alle nostre teste, come se stando tutti e tre vicini potessimo proteggerci meglio.
Torniamo a letto mentre un fulmine rosa illumina il cielo e poco dopo un tuono scuote le pareti. Piove fortissimo. Ci riprendiamo le mani, io te e il Pothos che ora ha una foglia poggiata sulla tua spalla, e mentre tutti e tre ci addormentiamo penso che la crisi climatica con te l’affronterei. E starei con te ancora un po’ di più.