Il bouquiniste del Quai de la Tournelle mi lancia uno sguardo interrogativo. Con una mano mi porge una copia di Les Fleurs du Mal, con l’altra si stringe in un cappotto sgualcito. Ai miei piedi la Senna, gravida e melmosa, muggisce al vento di novembre.
“Madame? Ce livre, le voulez-vous ou pas ?”.
***
Quando il Prof. Corda entrò in classe per la prima volta era un giorno di fine settembre ventoso e buio. L’unico sprazzo di colore era il giallo malconcio delle foglie che roteavano in branchi nel cortile di scuola. Per via della Calotropina, i colori chiari mi apparivano con una brillantezza quasi violenta. Le stavo osservando da un po’, quelle foglie, e non gradii essere distratta. In quel periodo il dosaggio dell’antipsicotico era particolarmente elevato e perciò, quando si spostava da un oggetto all’altro, la mia attenzione era come una grossa lumaca bavosa, lenta e sotto sforzo.
Il Corda aveva capelli rossicci, sottili e scomposti, e un abbigliamento complessivamente incolore. Ci disse che sostituiva la Prof. Santini-Galli, andata in congedo per motivi di studio. Dopo solo una lezione ci aveva piantati, dunque. Non che a me e ai miei compagni di II°C dispiacesse: la prima e ultima lezione che la Santini-Galli aveva tenuto, tema: il Romanticismo e il concetto di Nazione, era stata di una noia lancinante.
Dopo l’appello e un giro di presentazioni, da me adempiuto col minimo sforzo indispensabile, il Corda ci annunciò che “non importa il programma. Adesso studiamo Baudelaire”.
Seguì una prima lezione introduttiva infarcita di battute davvero spassose, a giudicare dalle espressioni dei miei compagni. Io non seguii niente: in quel periodo percepivo tutto in modo ovattato, come se ogni suono arrivasse da dietro un cuscino. Secondo la Dottoressa Cherubini, la Calotropina era necessaria per chiudere il mio “squarcio interiore”. Mia madre si disse d’accordo e le dette carta bianca; d’altra parte, lei aveva già il suo bel daffare nel somministrare dosi massicce del suo amore al mio fratellino Ottavio.
A ogni modo, i problemi sorsero l’indomani, quando il Corda passò alla lettura di alcune poesie tratte dalla più celebre raccolta di Baudelaire, I Fiori del Male.
Fu quel titolo a provocarmi il primo smottamento. Percepii un rumore, lo scricchiolio discreto di una crepa letale, e un brivido mi percorse. Il mondo glabro e in technicolor che mi inglobava perse per un attimo la sua vivida compattezza. La mia attenzione passò dalle foglie in cortile ai fiori malsani.
Iniziammo con L’Albatro, e la limpida cattiveria di quei versi mi ammaliò.
Quando Ottavio era uscito dal lago, in effetti, sembrava proprio un uccello fradicio, pietoso e ridicolo; e io, come mia madre non aveva mancato di ripetermi, ero stata cattiva.
Il Corda continuò a leggere, e i problemi aumentarono. La crepa dentro di me si allargava a poco a poco, incrinava il mondo sgargiante che la Calotropina mi aveva foderato addosso. In classe regnava un silenzio fervido, come “quando le caste stelle / abbassano le ciglia sonnolente” (Sepoltura).
Spleen: e la crepa si slabbrò ancora. Al suo interno percepii un brulicare insistente. Il Corda continuò a leggere mentre mi contorcevo sulla sedia. Sapevo che gli “angeli malvagi” di Una martire, quelli che “si divertono a spiare / strisciando alati tra i tendaggi”, allargavano con le loro manine paffute la mia spaccatura.
La crepa divenne una falla e la falla dilagò fino a che non raggiunsi “il mio squarcio interiore”. Il brulichio esplose: come allora, “ne uscivano a neri battaglioni larve, / colando liquido vischioso / lungo i brandelli brulicanti” (Una carogna).
Anche quel giorno al lago era andata così. Li sentivo formicolare dentro di me, premendo per uscire. Sapevo che, sotto la sua superficie vergine, nel lago succedeva la stessa cosa, e bramavo stanare quelle creature: quelle sporche, crepitanti, ributtanti, quelle che non ci era consentito conoscere, né far uscire da dentro di noi. Per questo gli avevo proposto di entrare in acqua e cercare le sanguisughe, al mio fratellino. “Così ci succhiano via il marcio. L’ho visto in tv”.
Quando tornai a casa, quella sera, mia madre era già stata avvertita della mia crisi e del pomeriggio in infermeria; non ci fu bisogno di altre parole, solo di altra Calotropina.
Il giorno dopo mi accompagnò dalla Preside per comunicare la mia dipartita dalla scuola e finalmente puntare il dito contro qualcuno. “Preside, è inaccettabile, in quella classe vengono insegnati contenuti as-so-lu-ta-mente non idonei a ragazzini di 12 anni. Questo nuovo professore, Corda, scusi eh, ma va mandato a casa, ché non si sa cosa ci dice a questi ragazzi…”.
“E beve”, aggiunsi. Anni dopo scoprii che era vero, e che per questo motivo, poco dopo, fu allontanato.
Poi mi misi a guardare fuori dalla finestra le foglie giallissime, finalmente fustigate dalla pioggia, e così continuai a fare da tutte le finestre di tutte le altre scuole in cui andai.
***
“Excusez-moi. Oui, je le veux, merci. Tenez”.
Discendo lungo la Senna con la mia copia di Les Fleurs du Mal tra le mani mentre il vento ne violenta le pagine.
Chissà se in quell’acqua torbida e abissale potrò infine espiare il mio rimorso.
* Questo racconto è stato scritto e selezionato tra maggio e giugno 2022 per la Rivista La città dei lettori durante il corso Scrivere un racconto curato da Luca Ricci e promosso da Fenysia – Scuola di linguaggi della cultura