Piove. Poi smette. Poi piove ancora. Non so che fare e vorrei chiudermi in questa stanza fino all’impegno di domani. Non piove più. Alla fine, trovo un briciolo di energia e mi butto in strada: sono vestita completamente di nero, come quasi sempre mi capita in inverno, ma ho deciso di rompere la monotonia con una esagerata collana di legno.
Ascensore sgangherato e stretto di signorile palazzina di Roma: ti odio. Lo lascio alle mie spalle, pensando che al ritorno prenderò le scale: mi sembra troppo mal ridotto per uscirne vivi. Boh.
Prima di buttarmi in strada, un incontro salvifico: una signora mi fa chebellacollana!, me lo dice sorridendo e con una voce infantile, sorrido e ringrazio e mi butto in strada rincuorata da nostrasignoradellecollane. Non so bene dove andrò, so quali lati del quartiere sarà meglio evitare, così mi butto dalla parte opposta e decido di raggiungere la cioccolata calda che giorni fa avevo sognato, dopo aver visto la foto su instagram: oh, sono proprio felice all’idea! Pazienza, voglio dire, per la dieta che rimando e non farò mai. Vado.
Ci sono i soliti gusti di gelato buonissimi, torte esageratamente dolci, ma io voglio la cioccolata: fondente, gli dico; conpanna, aggiungo. Era proprio bella nella foto postata sul loro profilo Instagram e aspetto il mio bicchiere da portare via per poterlo immortalare, appena mi butterò in strada, e condividerla: molto adolescenziale, certo, ma cosa sarebbe la nostra vita se silenziassimo tutti i nostri momenti infantili e adolescenziali? Sarebbe una palla assurda, temo. Ticihomessounsaccodipanna!, mi dice il tizio: l’adolescente che è in me deve averlo guardato molto male, lo capisco dalla sua espressione, piuttosto bizzarra, speculare alla mia. Perché? Perché il mio bicchiere di cioccolata alla panna è infinitamente più brutto di quello postato da loro su instagram: avevo riposto la mia felicità in quel bicchiere, tizio, e tu, tizio, l’hai buttata via così. Compro un pacchetto di confetti alla liquirizia a mia sorella; esco, col broncio.
Fotografo, comunque, la cioccolata perché è buona, tutto sommato, e perché mi ricorda una cioccolata calda sorseggiata a Vienna, in un freddissimo pomeriggio di tanti anni fa: mi torna il sorriso, almeno un attimo. È che la giornata non andrà come voglio e ho dovuto rimandare un pranzo con un amico per colpa della sbadataggine della signora del B&B che è appena tornata da un viaggio non so dove e mi ha detto che ha un problema di fusi orari: sisentonotuttisignora, avrei voluto dirle, ma non l’ho detto. Così, niente pranzo.
Mi consola solo il fatto che domani, prima dell’impegno, vedrò un altro amico: una delle persone più intelligenti che io conosca e che, anni fa, quando adolescente ero davvero, era un titolo di coda di un programma Rai che mi faceva ridere tantissimo. Ho sempre avuto dei sogni concreti e l’idea abbastanza decisa che una delle cose più sagge da fare coi sogni fosse cercare di realizzarli. È facile? Proprio no. Specie se non sei ricco, ma se sei tenace, da qualche parte arrivi, qualche sogno lo acchiappi (fosse pure un sognetto). Se no, dovrai abituarti, in diversi momenti, al fatto che la vita è una cioccolata calda un po’ più brutta di quella che ti avevano pubblicizzato: ma è buona, tutto sommato.
Ma volevo un’altra giornata, oggi. E forse speravo di vederlo, non solo l’amico, dico anche un’altra persona. Sì. L’ultima volta che l’ho abbracciata, questa persona, e non era un momento così lieto… perché quando sai che devi condensare in un abbraccio tante cose e sai che devi cercare di trasmettere vicinanza all’altro che deve vedersela con qualcosa di complicato, non è mai facile. Dicevo: l’ultima volta che l’ho abbracciato sono riuscita a resistere un po’ di più, dev’essere sembrato uno di quegli abbracci belli e sentiti, a chi ci ha visto alla stazione, ma a un certo punto ho mollato perché non riuscivo a sostenerlo, quell’abbraccio: certi abbracci sprigionano un’energia molto potente, non ha a che fare col sesso, manco col desiderio, forse racchiude entrambi e somiglia moltissimo all’amore, temo.
«Le emozioni non si adeguano a nessun tipo di scala, a nessun tipo di modello, a nessun tipo di formato, di peso, di volume, eppure esistono perché bloccano lo stomaco, allargano le pupille, fanno girare la testa e cadere, possono anche far morire. E tuttavia non conosciamo la loro dimensione, il loro colore, il loro odore, la loro linea di galleggiamento. Sono l’energia prodotta dall’unione dei corpi? Forse», avrei detto così allo sguardo di una signora che ha intercettato il mio mentre mi staccavo, se solo avessi letto Storia dell’amore, prima di quell’abbraccio.
Gérard Thomas scrive un libro serissimo, col suo tono inconfondibile e ironico e mi fa pensare, ora, mentre il libro è nel mio zaino, e vaga con me per le strade del quartiere affollate dalla solita gente che sembra tutta senza pensieri qua (non ho capito perché o forse lo so), e punteggiate dalle lucine di Natale che sì, ahimè, è arrivato (da un certo punto in poi il Natale è una di quelle cose che eviteresti molto volentieri, se sei single). Non lo so perché apro parentesi oggi e mi perdo così, ma Gérard Thomas mi fa pensare, dicevo, col suo rigore misto a leggerezza che «l’amore va ragionato», come ci ha insegnato qualcuno, perché «ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere».
Credo sia vero ed evito di citare anche Cortázar, per l’ennesima volta, mentre cambio marciapiede: ho visto un posto in cui mi avevi portato, do un’occhiata veloce, mi ricordo come mi avevi guardato quel giorno – lontanissimo ormai – e poi torno nella parte lecita di questo gioco dell’oca: la parte in cui non rischio di incrociare te. Sono capitata qua perché la tizia del B&B ha due strutture diverse ed è talmente rimbambita che ha sbagliato la mia prenotazione: non mi è andata male, non avrei mai incontrato lamadonnadellecollane, se non avesse fatto questo errore, ma se non avesse fatto questo errore, ora, non starei a pensare alla figuraccia fatta con l’amico che volevo vedere e che mi aspettava nei pressi di Casa Bellonci e, soprattutto, non me ne andrei in giro per questo quartiere sentendomi galeotta, perché questa ha sbagliato e mi ha buttato nella via sbagliata: di una città tanto grande, m’ha fatto tornare dove non dovevo, perché se t’ho salutato l’altro giorno, voglio dire, non ha senso, rivederti ancora e, poi, altrimenti sa tanto di gente appiccicosa, dai. Quindi, niente, vago ancora, lanciando i dadi e finendo nelle caselle che è lecito calpestare, colleziono vetrine e cappotti che non devo comprare perché a tutto c’è un limite, signori.
Però, è pure vero che non c’è niente da capire, come cantava il Principe e, allora, mentre il freddo mi taglia la faccia (oserei dire, finalmente, data l’interminabile estate di quest’anno), penso che io, invece, ho sempre capito troppo e chi capisce poi rischia di sentire la tentazione di spiegare e l’amore non si spiega, come cantava quell’altro.
Di pranzo in pranzo, di amico in amico, mi si stringe un po’ il cuore ripensando alle parole di un altro carissimo amico e Thomas lo dice molto bene, come si sente lui, come ci siamo sentiti tante volte in molti: «Nel particolare tipo di vuoto provocato dall’abbandono rimbombano le voci, le immagini, le emozioni che si sono vissute e che ci hanno a tal punto riempiti da non poter riuscire a concepire che l’altro possa non desiderarle quanto le desideriamo noi». Prosegue, poi, però, parlando di odio: non riguarda me, non riguarda il mio amico, non ci riguarda, ma quel vuoto sì, e vai a capire se, a volte, non siano delle cioccolate calde a riempirlo almeno un attimo.
Ripenso a quelle quattro parole che ho cercato di tirar fuori per consolare il mio amico, cercando tra i vuoti che avevo sentito io: credo che fosse un abisso profondo il suo, anzi purtroppo ne sono quasi certa, e sicuramente – purtroppo – non sarò riuscita a dire le cose giuste, ma la sua intelligenza (d’un tratto penso che è una fortuna conoscere un sacco di persone intelligenti, libere, leggere, profonde: ma Thomas l’ha già scritta Storia dell’amicizia? Forse, sarebbe quello il libro più adatto a me) lo aiuterà a risalire, anche se fa male, indubbiamente. Penso alle densità, nostre: alla mia, a quella dei miei amici, alla tua, a quella della madonnadellecollane, e a quella di questa tipa che vuole appiopparmi un libro (non ci riuscirai mai, sappilo), qui, in libreria. Le densità: «Cosa intendo per densità? Intendo un insieme assai complesso e non misurabile nel quale entrano in gioco aspetti interiori e di temperamento come profondità, carisma, esperienze, forza d’animo, coraggio, resilienza, capacità di stabilire nessi, fantasia, pensiero creativo. Tutto ciò che potremmo riassumere forse con il concetto di “ricchezza interiore”».
Che gran casino, penso. E vorrei citare ancora, ma v’invito a leggere Thomas (se non siete convinti andate a pagina 102 e guardate qual è la cosa bellissima che dice a proposito dello squilibrio di peso specifico: lo comprerete), perché è vero quello che dice e cioè che «siamo fatti anche di ciò che abbiamo letto e ascoltato nella nostra vita, sono le parole dei romanzi che abbiamo abitato e delle canzoni che ci hanno esaltati o commossi che hanno strutturato il nostro pensiero e forse anche il nostro modo di interpretare e strutturare la realtà che abbiamo intorno, e di conseguenza le nostre azioni, le nostre sensazioni, le nostre esaltazioni e le nostre disperazioni». Non ho citato pagina 102, alla fine, ma ho citato ancora e sto per farlo rosicchiando altre parole dalla conclusione del suo libro, il titolo è Possibilità (una parola che m’è sempre piaciuta) e, a un certo punto, scrive così: «ma quella che io ritengo la possibilità ideale è un amore di due esseri liberi e sinceri e veri l’uno con l’altro che, amandosi, si scambiano il meglio di ciò che possiedono e insieme diventano migliori. È poco? Forse, ma è l’opportunità più grande che ci è stata data. Vale la pena di non sprecarla».
Rincaso. Non incontro la madonnadellecollane; non prendo l’ascensore assassino (perché mi fa paura); non ti scrivo (anche se tu hai un bel peso specifico e non è che l’amore sia necessariamente una cosa sola, no?); saluto la tipa assurda del B&B che è sempre lì al computer (a sbagliare prenotazioni, presumo); entro in camera: va be’, tutto sommato, quella cioccolata calda non era poi così male…