Un giorno stavo guardando la televisione, e una storica del fascismo, parlando della condizione femminile durante il Ventennio, disse che per capire bene quali erano gli ideali non contemplati, o meglio, avversati dal Regime, si poteva leggere Nessuno torna indietro di Alba De Céspedes, che nonostante il cognome era nata e cresciuta in Italia (padre cubano e madre romana).
Ricordavo il nome e anche il titolo. Avevo comprato quel libro a un euro su una bancarella, in una vecchia edizione Mondadori, forse addirittura un anno prima, incuriosito dal periodo storico, di cui sono in un certo qual modo “appassionato”. Poi, come a volte succede, era finito nella pila di libri da leggere e non lo avevo mai aperto. Quale migliore occasione, per colmare questa lacuna, se non quella curiosa coincidenza? Andai subito a prenderlo. Già dalla prima pagina capii che mi trovavo davanti a una grande scrittrice, e quando finii il libro ero ormai innamorato di lei. Com’era possibile che non ne avessi mai sentito parlare?
Cominciai a leggere notizie su Alba De Céspedes: fu una sorpresa e insieme una conferma, perché dopo aver scoperto una scrittrice magnifica scoprivo la vita di una donna straordinaria. Dagli anni Trenta agli anni Sessanta ebbe un grandissimo successo, decine di traduzioni tutto il mondo, film anche di registi importanti tratti dai suoi libri. Nessuno torna indietro cozzava contro gli ideali del Regime, tanto che la censura cercò di farlo ritirare dalle librerie. Alba – consentitemi di chiamarla così, ormai ho l’impressione che sia una mia amica – venne convocata ben diciassette volte dal Minculpop per rispondere a domande del tipo:
“Lei non si vergogna di aver scritto questo romanzo?”
“No” rispondeva lei.
“Non potrebbe cancellare questa pagina… e poi quest’altra… e quest’altra ancora?”
“Non lo farò mai…” Ci mancava solo che le chiedessero di farlo diventare un libro fascista.
Dopo l’Armistizio Alba a suo marito fuggirono da Roma, e tra l’altro per un periodo si nascosero a Torricella Peligna, il piccolo villaggio abruzzese da cui proveniva il padre di John Fante. E lei scrive: “Che cosa non vi dobbiamo, cara gente d’Abruzzo? Ci cedevate i vostri letti migliori, le vesti, gratis, se non avevamo denaro”. Poi dovette fuggire, perché stavano arrivando i tedeschi. Divenne una vera partigiana. Trasmetteva da Radio Bari con lo pseudonimo di Clorinda (la principessa guerriera etiope con la pelle bianca della “Gerusalemme liberata” del Tasso), incoraggiando la gente, anche quelle persone che pensavano di non poter fare niente, ad agire da “resistenti”, a combattere e a boicottare il regime nazifascista. Nel ’44 fonda la rivista letteraria «Mercurio», che pubblica autori come Alberto Moravia, Corrado Alvaro, Sibilla Aleramo, Anna Banti, Ermanno Contini, Natalia Ginzburg (che diventerà sua amica), Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Paola Masino, Elio Vittorini, e anche il primo racconto del ventenne Andrea Camilleri, che quando vide il suo nome sulla rivista, A. Camilleri, pensò a un caso di omonimia, e quando si accorse che invece era proprio lui, quasi svenne. «Mercurio» resisterà fino al ’48, poi chiuderà per mancanza di fondi.
Alba è stata poi completamente dimenticata, messa in un angolo, etichettata come scrittrice “rosa” (l’oltraggio più doloroso), ignorata dalla critica, spinta via dalle librerie, insomma è diventata una scrittrice “fuori catalogo”, a parte il Meridiano del 2011.
Non ho nessun problema ad affermare che Alba è una delle più grandi scrittrici del Novecento, una donna straordinaria che in ogni sua riga mi ha affascinato al pari dei nostri grandi scrittori del XIX e XX secolo e non solo. La scrittura è universale, non si ferma di fronte ai confini. Non esito a innalzar Alba allo stesso livello di Malaparte e di Dostoevskij, per l’intensità dello sguardo, per la capacità di raccontare a fondo l’umanità, per il coraggio di non fermarsi di fronte a nulla, per la scrittura semplice e potente che non soffre mai di virtuosismo, che non è mai ammorbata di compiacimento. Una scrittura fluida, naturale come un ruscello che scende dalla montagna, capace di insinuarsi nelle pieghe dell’animo umano e di far vibrare le corde più profonde del lettore, come appunto i grandi romanzieri russi. Una donna che ha saputo guardare con coraggio nell’anima delle donne, capace perfino di scovare già nel dopoguerra i germi di una frattura generazionale che esploderà in tutta la sua violenza solo nel ’68, e che nel suo capolavoro del ’49 ha scritto una pagina che mi ha fatto pensare al testo di Satisfaction.
Scrivo qua i titoli di molti dei suoi libri, romanzi e raccolte di racconti, suggerendo a chi volesse scoprirla di lasciare per ultimo, appunto, il suo capolavoro, il suo Karamazov, che si intitola Dalla parte di lei, cinquecento pagine per un viaggio senza ritorno nelle zone più recondite dei sentimenti, che finalmente Mondadori ha deciso di ripubblicare (Dio sia lodato!)
Nessuno torna indietro, Milano, Mondadori, 1938 (romanzo).
Fuga, Milano, Mondadori, 1940 (racconti).
Dalla parte di lei, Milano, Mondadori, 1949 (romanzo).
Quaderno proibito, Milano, Mondadori, 1952 (romanzo).
Invito a pranzo, Milano, Mondadori, 1955 (racconti).
Prima e dopo, Milano, Mondadori, 1955 (racconto).
Il rimorso, Milano, Mondadori, 1962.
La bambolona, Milano, Mondadori, 1967.