-Mi fai le trecce come Mercoledì Addams?
-Sì però dobbiamo sbrigarci, siediti e abbassa un po’ la testa. Dio che buon profumo che ha la tua testolina!
Erano davanti a scuola aspettando che aprisse. Caterina appena vide Agnese scappò via presa da un’urgenza di amicizia. Lei, stretta dentro il maglione, osservava il via vai frenetico dei bambini, le sembravano tanti tartarughini bipedi con quegli zaini spropositati sulle spalle.
Caterina tornò.
– Mamma, Agnese può venire da noi dopo la scuola? Ti prego.
– Va bene, più tardi chiamo la sua mamma e ci mettiamo d’accordo.
– Grazie, ti voglio bene!
E via di nuovo, la sua tartarughina.
Era metà novembre.
– Fresco oggi eh?
– Sì, poi con questa umidità lo si sente ancora di più.
– Questa sera ci andrai all’incontro per organizzare la recita di Natale?
A quel punto lo guardò, lo vedeva ogni mattina accompagnare il figlio ma non lo conosceva, era la prima volta che si parlavano e quel tu, così confidenziale, la colse di sorpresa.
– No, non fa per me, preparerò una torta per il rinfresco.
Ora erano uno di fronte all’altra.
Improvvisa una folata di vento, improvvisa la mano di lui a spostarle una ciocca di capelli dagli occhi, improvvise quelle maledette parole.
-Peccato, non sei niente male come attrice! Tu e Babbo Natale in scena, sarebbero in molti ad apprezzare. Ah, comunque io sono Mario, molto piacere di conoscerti Darlene.
Quelle parole, quello sguardo sporco l’avevano ributtata a faccia in giù nel fango.
Il cancello si aprì, Caterina prima di entrare le diede un bacio, lei si ritrasse in fretta come morsa, come se sua figlia potesse sentire quell’odore vecchio di vent’anni.
Vide l’uomo della sventura andar via con le sue scarpe lucide.
Fece lo stesso, imbrattata tornò a casa.
Un porno, questo aveva fatto a diciannove anni.
Non una cosa amatoriale finita in giro per sbaglio. Un film vero, con attori professionisti, con un’improbabile trama farcita di grandi scopate. Un porno, uno solo. Era successo quando inseguiva il sogno di diventare modella, o attrice, o tutt’e due le cose. Ma non era adatta perché “troppo formosa, le case di moda preferiscono fisici più asciutti” oppure perché “bella ma con un viso comune, poco interessante.” Poi aveva conosciuto Nicola e il suo mondo. Un mondo che apprezzava le sue curve e il suo bel viso anonimo. “È una forma d’arte, un cinema alternativo con molti estimatori. Vedrai con quel corpo da urlo diventerai una star!” Un porno, uno solo. Le aveva rovinato un bel pezzo di vita ma poi un giorno aveva deciso. L’aveva preso, chiuso dentro una scatola a tenuta stagna e buttato in fondo all’anima. Lì, a far da sentinella, una nuova serenità.
Ma il passato trova sempre il modo per eludere la sorveglianza. Era accaduto.
Una volta a casa era come impazzita. Voleva andarsene, buttare qualcosa dentro un borsone e scappare, era l’unica soluzione. Cominciò a scrivere una lettera per Luca, dove cercava di spiegare il perché di quella fuga. Scrisse che era un gesto d’amore, per lui, per Caterina. Che cosa se ne potevano fare di una moglie e di una madre così?
La vergogna era tornata, come la recidiva di un cancro cattivo la stava nuovamente mangiando. Luca sapeva, glielo aveva raccontato quando la loro storia stava incominciando a farsi seria. Per qualche giorno dopo la confessione non si erano più sentiti, lui aveva bisogno di un po’ di tempo per schiarirsi le idee. Alla fine l’aveva chiamata e “Anche se è difficile digerire una cosa così, non voglio perderti.” Lei aveva pianto di gioia, poi gli aveva fatto promettere di non cercare mai quella maledetta pellicola. Lui aveva promesso, e digerito. Si erano sposati e tre anni dopo era arrivata Caterina. Non ne parlarono mai più. A volte però, quando facevano l’amore, lei aveva come la sensazione che lui non avesse mantenuto quella promessa, e non avesse neppure digerito per davvero quella cosa. “E se adesso gli racconto di stamattina andrà fuori di testa.”
Questo pensava mentre stravolta e in preda al panico cercava di organizzare la fuga.
La lettera era sul tavolo, il borsone vicino alla porta. Tutto pronto. Poi un pensiero. Aveva detto a Caterina che Agnese poteva passare il pomeriggio da loro, le aveva detto che avrebbe avvisato la madre. Bastò questo. Disfece il bagaglio, strappò in mille pezzi la lettera e ritornò dentro l’abito sporco di moglie e madre.
Trascorse il giorno e arrivò sera. La storia della buonanotte.
“Al limitare del bosco,
in una casetta sotto il cespuglio di rose,
abitava il pidocchio verde.
Il pidocchio si vergognava. Non sapeva di cosa ma, per quanto ricordasse,
si era sempre vergognato.
La mattina quando si svegliava, arrossiva al pensiero
di essere lui quello nel letto.
E quando si alzava diceva: “Mi dispiace”.
Di tutto si dispiaceva: di ogni passo che faceva, di ogni pensiero che pensava, di ogni desiderio che provava, anche solo per una frazione di secondo.”
A quel punto si fermò con un groppo in gola.
– Mamma va tutto bene?
– Certo amore mio perché?
– Non so, mi sembri strana, non hai voglia di leggermi la storia?
– No, sono solo un po’ stanca stai tranquilla.
– È perché hai dovuto cucinare anche per Agnese? Scusa, mi dici sempre di chiedertelo prima e non all’ultimo momento, è per questo che sei arrabbiata?
– Ma no, non sono arrabbiata, sono solo un po’ stanca. Adesso continuiamo la storia.
Continuò la lettura senza cedere all’impulso di scappare, scendere le scale, correre verso il mare buttarcisi dentro e urlare alla luna come un animale ferito. Lei era il pidocchio verde, lei era quel personaggio uscito fuori dalla pagina 48 del libro della biblioteca che stava leggendo per sua figlia.
Lei si vergognava. Sapeva di non meritare niente della sua bella vita, ma più di tutto sapeva di non meritare Caterina perché nessun bambino dovrebbe avere una madre così. Luca aveva potuto scegliere, la sua bambina no. E un giorno qualcuno le avrebbe mostrato il video, lo avrebbe fatto magari vigliaccamente postandolo in rete, così, senza pensarci troppo, oppure apposta, per ferirla. Qualcuno, come l’uomo dallo sguardo sporco e con le scarpe lucide.
Pagina 51. Uno scoiattolo premuroso, capace di fiutare il disagio, scrisse al pidocchio. Lo voleva andare a trovare, lo voleva aiutare. Ma il pidocchio si vergognava troppo.
“Caro scoiattolo,
non venire. Ti prego, ti prego.
Il pidocchio verde.”
Quante volte in passato si era sentita così.
E stasera ancora.
“Carissimo pidocchio verde, d’accordo. Non verrò.
Ma ti farò ugualmente un regalo.
Compirai pure gli anni, qualche volta. Cosa gradiresti?
Lo scoiattolo”
“Carissimo scoiattolo, gradirei dell’odore di miele.
Solo l’odore però.
Il pidocchio verde.”
Poi le ultime parole di quella breve storia.
“Un improvviso odore di miele scese in ampie volute dal camino.
Allora arrossì, e ondate di vergogna gli si rovesciarono addosso.
Ma era una vergogna diversa da quella normale di tutti i giorni.
“Curioso,” pensò.
“Che tipo di vergogna sarà?”
E con gli occhi chiusi, fiutando con prudenza quell’odore di miele,
pensò con meraviglia a sé stesso.”
Caterina si era addormentata. Guardò attraverso le lacrime quelle piccole mani perfette, le accarezzò la testolina che era poggiata al suo petto.
E con gli occhi chiusi, fiutando con prudenza l’odore di sua figlia,
pensò con meraviglia a sé stessa.