Ogni volta che mi scorcio la barba mi si chiude un po’ la gola. All’inizio non ci facevo nemmeno caso. È una cosa che succede, mi dicevo. Mi era capitato di provare lo stesso fastidio (laringe che si chiude, lieve senso di soffocamento) di fronte a certi animali domestici. In presenza di alcuni gatti a pelo lungo, ad esempio, provavo il medesimo graffio in gola.
Ne ho parlato un giorno con un mio amico medico che mi ha detto che, con ogni probabilità, si trattava di una lieve allergia.
«Ma come» gli avevo chiesto «sono sempre cresciuto con i gatti e non mi hanno mai dato fastidio.»
Il medico con sufficienza aveva ribattuto che le cose cambiano, e che non è detto che non si sviluppi, ad esempio, un’allergia in età avanzata.
«Come “età avanzata”?» gli avevo chiesto con una nota di perplessità nella voce.
«Eh» aveva risposto lui con l’indice puntato contro di me «esattamente quello che ho detto: età avanzata.»
Ok, vada per l’età avanzata (d’altronde un medico non può insultare un suo paziente, giusto?). «Ma è normale?» lo avevo incalzato di nuovo, affidandomi alla sua sapienza.
«Devi ritenerti fortunato» aveva concluso lui con l’occhio obliquo da santone «che non sia una forma di allergia più severa.»
Ci è voluto del tempo. Del tempo per mettere insieme le due cose. Lieve senso di soffocamento di fronte a certi gatti a pelo lungo. Gola che si chiude quando mi faccio la barba. Lieve allergia ad alcuni animali domestici. Lieve allergia a me stesso, alla mia persona.
Non so se possa avere senso. Di certo, però, tutto questo spiegherebbe un po’ di cose. Spiegherebbe ad esempio l’intransigenza che a volte ho nei miei confronti, la severità che mi dimostro. La totale assenza di clemenza verso di me e le mie azioni. Spiegherebbe perché in un mondo che è stupido, governato da idioti, non mi voglia concedere il lusso della superficialità. Il perché non riesca a lasciar scorrere le cose nel loro naturale fluire; il perché mi obblighi a ricordare, ricordare ad ogni costo, piuttosto che lasciar agire l’oblio, la salvifica memoria che seleziona e cancella.
Ecco, quindi. Dev’essere una lieve allergia. Un’allergia ad un agente patogeno chiamato “me”.
Io che vorrei essere una persona migliore, più propositiva, e non mi riesce. Io che vorrei essere meno critico nei miei confronti. Più amorevole, più rispettoso verso di me. E non mi riesce.
Mi torna in mente una frase da un libro:
«Il fatto è che io sono il primo a non avere rispetto di me stesso. Ma una persona consapevole può avere qualche rispetto di sé?».
Dov’è che l’avevo letta?
Ecco dove: Memorie dal sottosuolo. Quel libro immenso.
Ripenso alla barba e al senso di soffocamento. Mi spiego così il mio desiderio frustrato di voler essere meno livoroso, meno invidioso. Del voler gioire, senza riuscirvi, delle felicità altrui.
Sono vagamente allergico a me stesso.
Chiamo il mio amico medico al telefono. Risponde al quinto squillo.
«È possibile» gli chiedo «che abbia sviluppato un’allergia verso di me?»
«Cosa?» e lo sento ridere dall’altra parte della conversazione.
«Un’allergia a me» gli ripeto.
«Davvero sei in grado di pensare una cosa così stupida?»
«Beh, la barba, i gatti. La gola che si chiude.»
«Guarda» risponde «è scientificamente impossibile.»
«Eppure, è quello che sento.»
«Lascia perdere, ok? È una delle cose più scriteriate che abbia mai sentito.»
D’altronde anche nelle Memorie dal sottosuolo si parla del fatto che un muro sia un muro e che due per due faccia forzatamente quattro. Che le evidenze, a quanto pare, siano inamovibili.
«Va bene» gli dico in tono sommesso «chiedo scusa per il disturbo.»
Eppure stavolta, almeno per una volta, so di non aver torto. A discapito di quello che possa pensare il mio amico medico. Non solo. Questa volta so anche, e con chiarezza, quale possa essere la cura. Come possa guarire da questa allergia che porta il mio stesso nome.
Riprendo in mano le Memorie dal sottosuolo, apro la prima pagina e comincio a leggere:
«Io sono un uomo malato… astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di fegato. D’altronde non ne so un accidente della mia malattia e non so neppure esattamente cosa mi faccia male».
Mi metto comodo, mi verso un bicchiere di vino. Leggere mi aiuta a guarire, mi allontana dalla malattia dell’Io. La gola mi si apre gradualmente.
Certo, di libri così ce ne sono davvero pochi, mi dico.
Poco importa. C’è sempre un altrove di senso, un altrove che ribalta le cose e le rimette a posto. Ogni vita è una vita diversa, ogni esistenza un’esistenza a sé.
Mi sento meglio, pagina dopo pagina. In pace con me stesso. Meno solo, meno rancoroso.
A un certo punto mi trovo anche a dare ragione, almeno su un aspetto, al mio amico medico. Sul fatto che, come mi ha detto, debba ritenermi fortunato.
Ed è così. Devo ritenermi fortunato. Per tante cose. Una su tutte, per il fatto che quella contro di me sia solo una lieve allergia, e non una forma più severa.
La gola si è aperta, mi sento meglio. Trovo una posizione più comoda sul divano, mi verso un altro bicchiere di vino e proseguo nella lettura.
Sia benedetto Fëdor, allora; sia benedetta la buona scrittura. Siano benedetti i libri che guariscono, anche da malattie che forse nemmeno esistono.