Siamo figli di questo tempo, segnato dallo streaming e dal confinamento ma confidiamo che tutto passerà, prima o poi. E solo allora, faremo i conti con il futuro che ci viene incontro, pronto a scombinare tutti i nostri piani.
È sempre accaduto, sin da quando eravamo adolescenti. Con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto nel cuore della notte, immaginavamo come sarebbero andate le cose, in un tempo segnato da traguardi e successi senza posa. E poi le cose sono andate come dovevano.
Solo chi è abituato a muoversi attraverso le pagine scritte, vive mille milioni di vite diverse. Vestiamo i panni del pirata e del bibliotecario, risolviamo delitti e viaggiamo per tutto il mondo, cucinando pranzi luculliani, guidando rivoluzioni e godendo di grandi amori, sempre senza alzare il culo dalla sedia. Se non è magia questa, voi come la chiamereste? E allora, mi interrogo: i libri ci rendono migliori? Prima lo pensavo, era una granitica certezza ma nel frattempo sono cambiate le carte in tavola: è arrivata la pandemia, ho compiuto 40 anni, sono ancora un giornalista culturale precario e questo futuro sospeso mi ha reso – prometto, eviterò accuratamente di usare i termini “liquido” e “resiliente” – concreto e più disincantato, persino fatalista senza perdere la gioia di vivere, d’esserci.
Sì, le fake-news ci assaltano come lo spam nella casella di posta e chi può dire se davvero “andrà tutto bene” come urlavamo mesi fa dai balconi? Ora come ora, non possiamo far altro che provare a gettare il cuore oltre all’ostacolo, metterci in gioco, continuare a costruire case e progetti culturali, navigando in mare ma con l’accortezza di tenerci sotto costa, al riparo dalle bufere, dal vento infido che può strapazzarci da un momento all’altro. Ormai la lezione dovremmo averla imparata ma così come l’incrollabile fiducia nel grande amore che verrà, siamo sempre propensi a indulgere nei sogni.
Oggi non credo più che leggere ci renda migliori, semmai ci rende diversi, sfaccettati, esigenti nell’uso delle parole e nel ricorrere alla fantasia, talvolta persino irrisolti e inquieti poiché più leggiamo e più aumenta la nostra capacità di immaginare destini diversi dal nostro. Ma i libri, come diceva Italo Calvino, ci aspettano sempre.
E fra questi, vi parlerò di Anna di Niccolò Ammaniti, (edito da Einaudi, nel 2015) che ho riletto di recente, complice la serie tv.
Ambientato in Sicilia, nella mia isola, racconta di una realtà alternativa in cui gli adulti sono stati spazzati via da un retrovirus – La Rossa – consegnando un mondo selvaggio e post-apocalittico nelle mani dei bambini, finalmente unici padroni del loro destino. Sorgono tribù che vagano per l’isola saccheggiandola e in Anna ho ritrovato sia la natura crudele e magnifica, sia le dinamiche dei gruppi de Il Signore delle mosche di William Golding, un altro libro che amo moltissimo; soprattutto, c’è una distopia paurosa e credibile. L’idea che il mondo che abbiamo sottomesso e vilipeso, d’un tratto possa davvero ribellarsi e scuoterci via come formiche dal dorso di un elefante. Una distopia imminente che in un breve tempo si è fatta più concreta, aprendo scenari ad alto tasso di incertezza mentre il numero dei contagi cresceva. Un miraggio sì, ma dai contorni ben visibili.
Anna racconta e celebra l’avventura di una coppia di fratelli – Anna e Astor – in fuga verso una possibile salvezza, un futuro oscuro. In questo viaggio sono guidati dalle parole della madre che gli ha consegnato in eredità un quaderno, mettendoli in guardia dai pericoli del mondo. Ho riletto Anna e vi ho trovato una piacevole traccia utopistica, l’idea che l’amore, la fratellanza, il semplice tendersi la mano nella difficoltà possano essere più forti dell’egoismo, della mera legge di natura hobbesiana.
No, non viviamo nel migliore dei mondi possibili, mio caro Pangloss, ormai l’abbiamo capito, tuttavia dobbiamo comunque prendercene cura, volenti o nolenti.
Come diceva Einstein, “la mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre”. E allora – lettrici, lettori – spalanchiamola questa mente, lasciamo che ci guidi verso un futuro forse migliore o se non altro, possibile. Dicono che la morte doni senso alla vita ma per tutto il tempo che c’è dato, ricordiamoci d’aver cura del nostro cuore che batte senza sosta. E finché dura, infine, proviamo a essere felici.