Prendo sempre tre gusti fumo un cono gelato
Ho tre collane al collo sembro un cono gelato
Cono gelato, Dark Polo Gang
Che forma ha un desiderio? Perché volere qualcosa piuttosto che altro?
Sono mesi che il mio nuovo lavoro mi ha dato la possibilità di capire meglio e provare a rispondere a questa domanda. No, non faccio la ricercatrice in una prestigiosa università americana o giapponese che studia i gusti o i consumi di mercato, niente di più lontano: lavoro in una piccola gelateria del centro storico nella mia città. Eppure il campione che vado analizzando non è dei più esigui. Ogni giorno entreranno in gelateria dalle cento alle duecento persone. E nel periodo estivo diventano quasi il doppio. Per questo posso affermare di essere ormai diventata un’esperta nel capire come funziona il desiderio della gente. I clienti entrano in gelateria e si fermano alcuni minuti, incerti, davanti al bancone trasparente dove delle etichette colorate indicano i gusti più disparati. Osservo i volti dei clienti, i loro sguardi passare veloci da gusti alla frutta a creme a panne a cioccolate e provo a capire come e perché il loro occhio indugia, si fissa, si ferma, decide.
Come funziona il desiderio? Credo di aver capito che ci sono fondamentalmente tre motivazioni che agiscono in noi. La prima è l’assenza: ciò che non c’è più è sempre preferibile rispetto a ciò che c’è.
“Qua, una volta, ho preso un gusto che oggi non rivedo più e vorrei proprio quello”, chiede una certa tipologia di clienti. Sono i nostalgici. Com’è difficile spiegare loro che se non lo vedono è segno che quel gusto non è al momento disponibile, che magari non è la stagione dell’anno adatta per mangiare delle fragole, e far capire che ciò che vorrebbero davvero è un preciso momento della loro vita che non può più ritornare. Sì, ci rimangono male, e malgrado io non sia responsabile mi sento sempre un po’ in colpa.
La seconda categoria sono quelli che non sanno, che sono indecisi, e che mi chiedono un consiglio. Sono i miei clienti preferiti. Li trovo onesti: sono dispersi nei flutti dei desideri, e quindi si affidano a una guida, che sono io, nell’orientare la loro preferenza. Il loro desiderio si confà al desiderio di un altro. Io allora ci penso, li guardo e provo a associare un gusto che stia bene col loro viso. Li provo a visualizzare che camminano fino all’angolo della strada, con il cono gelato in mano e un sorriso sul volto. Devo essere decisa, non devo avere dubbi, i dubbi li hanno già loro. Dimmi cosa devo desiderare, mi sta chiedendo quel cliente, e se la mia risposta sarà chiara, loro non avranno nessuna esitazione, ameranno quel cono gelato.
E poi c’è la terza categoria, quella delle persone che sanno già cosa desiderano. Una rapida occhiata, e scelgono con sicurezza cosa vogliono. Sul perché, sul per come si sia radicata in loro quell’idea, resterà per me e forse anche per loro un mistero inconoscibile. Qualcosa deve essersi radicato in loro, anni o mesi prima, forse da bambini una madre, una sorella maggiore guidò il loro sguardo, ed eccoli oggi di fronte a me e alla loro scelta apparentemente chiarissima. Questa terza categoria, che si presenta così alla luce del sole, è per me quella che maggiormente è avvolta dal mistero.
Oggi è entrata in gelateria una cliente mai vista prima e dal momento che non sembrava decidersi sui gusti da scegliere, le ho domandato se potessi darle un consiglio.
Lei mi ha risposto in un italiano lento, ma impeccabile, che stava imparando l’italiano e per questo leggeva molto lentamente. L’ho guardata con più attenzione. Era una donna di una cinquantina d’anni, che in qualche modo mi somigliava. Capelli neri e uno sguardo veloce che si spostava sulle cose, apparentemente senza giudicarle.
Di cosa sa il pistaccio? Mi ha domandato dopo un po’ di silenzio.
Si dice pistacchio, l’ho corretta io.
Va bene. Pistacchio. Sai spiegarmi di cosa sa il pistacchio?
Certo, le ho risposto, il pistacchio… sa di pistacchio!
Va bene, ha detto la donna, ma se non conoscessi il pistacchio, come lo spiegheresti?
Va bene, ho risposto io, che per qualche motivo avevo iniziato a usare quel suo “va bene” come una specie di intercalare. Se non sapessi che gusto ha il pistacchio, dovrei usare una metafora, le ho detto.
Va bene, ha risposto la donna. Dimmi.
Il pistacchio è qualcosa che è al contempo croccante e morbido e si può trovare sopra dei tavolini all’aperto, all’ora dell’aperitivo, nelle città che affacciano sul Mar Mediterraneo.
Va bene, ha detto la donna come se avesse capito alla perfezione e sentito in modo inequivocabile il sapore del pistacchio diffondersi sul palato.
Quindi vuoi un gelato al gusto di pistacchio?, le ho chiesto.
Non lo so ancora. Per me entrare in una gelateria è molto difficile. Tutte queste possibilità. Tutte queste matafore…
Metafore.
Va bene, metafore. A me sembra che il tuo lavoro non è un semplice lavoro di gelataia, è corretto gelataia?
Sì, si dice così.
Va bene. Ora faccio anche io una metafora. A me sembra che essere una gelataia è come una poeta dei gusti.
Una poetessa, l’ho corretta.
Poetessa, ha ripetuto la donna per memorizzare la parola.
Ma quindi hai scelto che gusto vuoi? ho chiesto ancora una volta.
Lei mi ha guardato e mi ha sorriso: Vorrei il gusto croccante, ma morbido, che si può trovare ai tavolini dei bar all’ora dell’aperitivo, nella zona del Mediterraneo.
Così le ho preparato un cono solo pistacchio.
Grazie gelataia poetessa, era proprio il gusto che desideravo, mi ha detto salutandomi e uscendo fuori.