Esterno notte

Francesca Corpaci

Ci troveranno domattina gli animali. O gli insetti. O una famiglia di turisti austriaci dotata di abbigliamento tecnico e numerosissima prole, che appena inizierà a distinguerci nell’erba alta si metterà a strillare ai volumi criminali che solo i cuccioli sanno produrre, e invece di schizzare dritti dai genitori per farsi mettere una mano sugli occhi e assicurare cose che dimenticheranno all’istante per riportarle a galla tra dieci o quindici anni durante una sessione collettiva di mindfulness, partiranno all’impazzata in direzioni casuali continuando a inciampare in imbecilli rigidi come tronchi tutti pieni di riflessi azzurrini, e ogni volta che finiranno a gambe all’aria ritrovandosi faccia a faccia con umani privi di espressione dalle pupille incredibilmente dilatate innalzeranno la frequenza delle urla fino a renderle impercepibili all’orecchio umano, cosicché agli occhi atterriti di mamma e papà non saranno altro che un drappello di infanti fuori di senno intenti a scapicollarsi nel pascolo con le facce paonazze e le bocche spalancate, completamente afone, mentre i cani e gli uccelli e i cervi della foresta fuggiranno via in preda al panico.

 

Potrei tornare alla tenda e procacciare altri vestiti, ma niente mi garantisce che non sia stata divelta dal vento o divorata dagli orsi, quindi mi allungo ancora un po’ in direzione dei fuochi, realizzati secondo un metodo autoctono atto a prevenire gli incendi per cui la fiamma brucia solo all’interno dei ceppi e non scalda nemmeno a pregarla, ma in compenso produce bagliori molto scenografici, apprezzabili soprattutto se sei un fricchettone montano in acido che ha appena ingerito una quantità di vin brulé pari al doppio del suo peso corporeo.

 

Vedo persone addormentate nel prato fare nuvolette col fiato, il che significa che sono ancora vive. Secondo Alice il fatto è che dovrei muovermi o fare qualcosa, dato che non bevo e di conseguenza non posso ubriacarmi. Tipo: svuotare i sacchi dell’immondizia o andare in giro chiedendo alla gente di mettermi in fila per gli alcolici al posto loro, dato che nessuno vuole sprecare il tempo in modo così inutile e noioso quando l’alternativa è piazzare la faccia a mezzo centimetro da una parete di casse alimentate con generatori a benzina e lasciarsi pettinare dalle vibrazioni.

 

Un tizio nel ramo dell’impiantistica mi si piazza accanto enumerando i materiali più efficaci per proteggere un pavimento in legno dall’impatto termico di una stufa in ghisa. Va avanti per una decina di minuti tentando simultaneamente di mettere a fuoco qualcosa di fronte a sé. Poi introduce l’eventualità di spostarci in un posto più defilato, e senza smettere di parlare si alza e se ne va. Il tutto senza mai guardarmi.

 

Valuto di acquistare del cibo tanto per ammazzare il tempo; poi ricordo che ho finito i soldi. Forse dovrei davvero procacciare alcolici per quelli troppo sbronzi o fatti o comunque impossibilitati a mantenere la posizione eretta e intascare i resti; tuttavia l’ipotesi che qualcuno risulti in definitiva non poi così sbronzo o fatto o incapace di afferrarmi per i capelli e percuotermi ripetutamente la fronte contro una roccia non è particolarmente motivante, senza contare che la digestione non farebbe altro che aumentare il divario tra calore corporeo e temperatura esterna, insieme alle mie chance di crepare di congestione con lo stomaco pieno di spezzatino di vitello.

 

Metto le mani nei pantaloni per vedere se sotto sento ancora qualcosa. 

 

Deve essere il compleanno di uno del posto, perché tutti cantano una canzone tipo tanti auguri, solo con parole che non esistono. Sono riusciti a trasportare fin qui una di quelle torte gigantesche che ti danno già affettate in una scatola di cartone, lo so perché vedo Alice che distribuisce fette in piattini di carta. Le faccio ciao con la mano; anche lei mi fa ciao. Ha una giacca a vento col cappuccio e un paio di pantaloncini con delle calze sotto. È così carina.

 

Ogni filo d’erba è ricoperto da microscopiche goccioline d’acqua. Penso che mi andrebbe bene se questi fossero i nostri ultimi momenti, ed è possibile che lo abbia detto a voce alta dato che due ragazze attaccate l’una all’altra per i capelli si voltano e fanno segno di sì. 

 

L’aria è talmente limpida che non c’è alcun ostacolo tra me e ciò che ancora non conosco. 

 

Dal profondo del sottobosco, l’alba è in procinto di sorgere. 

Francesca Corpaci

Nata a Firenze nel 1984, è tra i fondatori di «In fuga dalla bocciofila», rivista letteraria dedicata a cinema e narrazioni. Con l'omonimo collettivo di autori, dal 2014, organizza proiezioni ed eventi legati a film e letteratura. Ha partecipato alle antologie Odi (effequ) e Vocabolario minimo delle parole inventate (Wojtek) e collabora con la redazione del mensile «Lungarno». Suoi scritti ed altre strane cose sono apparsi su «Corriere della Sera», «L’Indiscreto», «Verde Rivista», «CrapulaClub», «Decamerette».

Lettura consigliata
Veniamo dal basso come un pugno sotto al mento
Alice Diacono
Un memoir, una raccolta di poesia e prose poetiche, un viaggio dal basso, che ha inizio dalla umile realtà della provincia piemontese, fino a raggiungere i luoghi e le città dove i sogni di una ragazza possono finalmente realizzarsi: Bologna, Roma, Berlino, Amsterdam. Un viaggio lungo dieci capitoli dove si parla di presa di coscienza della propria femminilità, respiro, cadute dai pattini, buchi neri, incapacità di amare, Antropocene, file alle poste, precariato emotivo ed economico, sradicamenti, clamori, pensamenti, euforia e disforia, morti e rinascite.