Che poi bastano pochi chilometri, giusto un tunnel. A volte una linea può dividere un prima da un dopo oppure semplicemente, come in questo caso, la città dal mare. La galleria ti inghiotte nella sua nera bocca e ti risputa fuori su un lungo ponte. A destra le Apuane, a sinistra il Tirreno. E così vieni proiettato senza troppi discorsi a un altro sole, a un’altra vita, a un altro ritmo e dentro quel ritmo a un altro te.
Perché poi la Versilia è esattamente questo, non è il mare non troppo straordinario da cercare sempre più in là sempre più in là col pedalò, non è la movida attraente sì ma non Rimini, non sono i bagni mega ricchi perché poi, per la maggior parte, la spiaggia è una schiera di ombrelloni che sembrano costruiti da una formica, ma è soprattutto ciò che tu sei lì. E lì te sei uno che fa le passeggiate in pineta sentendosi D’Annunzio, che si ingozza di bomboloni, fa le gare coi risciò, e ci rimane male se salta la pizzata di metà agosto. Cose semplici, normali, che da grande racconti con nostalgia.
Fino a quando quei racconti, da tramonti mozzafiato e da pelle impanata di sabbia con un pallone da beach sottobraccio, cambiano. Al bagno, infatti, senti di un ragazzo che l’altra sera era in motorino e che poi, dopo un attimo, in motorino non c’era più. Eh no, perché era a terra. Spiaccicato da un’auto di grossa cilindrata che voleva svoltare dentro il parcheggio del Twiga e più di tanto non avrebbe aspettato manco una limousine, figuriamoci uno scooterino che non valeva un cerchione della sua potenza. Il ragazzo si è alzato, si è reso conto di essere vivo ed è andato verso il Bisonte a quattro ruote incazzato nero. Ha bussato al finestrino, progettato probabilmente in palladio. «Ehi fenomeno! Vieni fuori!» L’adamantio si è abbassato ed è uscita una mano che brillava di luce propria e che reggeva un filo, che a sua volta reggeva un rotolo di tante, ma tante banconote, parecchie proprio. Il fumo invadente di sigaro ha preceduto le parole: «Bastano?» E senza aspettare l’inutile risposta, ha sgommato dentro il suo habitat naturale.
Senti questa storia un pomeriggio fra un ramino e l’altro, e non ci credi, ti sembra roba da film americano, un racconto da spiagge esotiche, non da lì, non da un posto che si chiama Tonfano e che poco più in là né ha un altro che si chiama Fiumetto e se scendi più in giù le cose vanno peggio, ma talmente peggio che l’hanno chiamato “Poveromo”. Non si è mai visto Cristo fermarsi a Ronchi. Sarà una balla, gonfiata di locale in locale. Il punto è che una sera ti ritrovi al Fortino, tu insieme ad altri venti ragazzi, per passare il solito Ferragosto insieme e qui vedete un energumeno vestito di bianco e con i mocassini, bianchi pure quelli, che vi supera, va da un cameriere e fa «Voglio mangiare in tavolo là». Il cameriere resta perplesso, e non perché non abbia capito dove sia quel tavolo, ma perché quel tavolo indicato dal ditozzo ingioiellato è già occupato. Un uomo, una donna, un bambino. Una famiglia. E rimane ancor più perplesso perché di tavoli liberi, non tanti, ma qualcuno ce ne sarebbe anche. Ma quello scuote la testa e dice: «Dica a signore che se lascia tavolo, io pago cinquemila euro». E se ne escono, eccome, tutti, con il piatto ancora in mano e il boccone a metà gola inchinandosi al palazzo di carne umana e pulendo la sedia con il fazzoletto di seta.
In quel momento ti accorgi che qualcosa nella tua seconda casa, in quello che per te è il tuo mare, è cambiato. Per sempre. Ti senti come forse si saranno sentiti i Pellerossa quando sono arrivati gli americani a conquistarli. Certo tu non sei mai stato un Pellerossa e questi non sono proprio proprio americani tuttavia ti viene di avvicinarti lo stesso al tavolo incriminato e fare «Si son presi i nostri cuori sotto una coperta scura». Mostri dissenso alla cena finché uno dei venti ti fa «Ma tu hai mai letto Morte dei Marmi di Genovesi?».
E così il giorno dopo tu quel libro te lo compri per davvero e Genovesi in Versilia ci vive, e te la racconta, eccome se racconta la colonizzazione e ti torna tutto, ti torna il titolo, ti torna che un paese è morto quando chi ci abita non lo vive più, ti torna che loro (i nuovi conquistatori) che cavolo ne sanno di tutto sto bagaglio qua. Niente, e niente gliene fregava, perché se per te La Versiliana evoca i versi di D’Annunzio, per questi è solo una bella location per fare foto. Dove te vedevi alberi che squarciavano l’orizzonte del mare e incastravano per un attimo il sole fra i rami, questi vedono solo spiagge perfette per un loro multi accessoriato bagno privato.
Così piano piano si sono presi tutto, case, ristoranti, strade, locali, piazze e alberghi. E anche se ogni volta che passi quel tunnel certi sapori tornano, perché almeno quella parte di te no, non l’hanno potuta comprare, riconosci che qualcosa si è perso, che è cambiato, che sa di vodka, di treni rovesciati e di Anastasia. E no, non è la stessa cosa.