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La malìa del contastorie

By 4 Ottobre 2023 No Comments

La malìa del contastorie

Vera Gheno

Siamo animali narranti e narrati, noi esseri umani; siamo fatti di storie. E dunque, raccontare storie fa intrinsecamente parte di noi. Possiamo raccontare qualunque cosa, da quella infinitamente piccola a quella infinitamente grande; possiamo dilatare il tempo e lo spazio a nostro piacimento, concentrandoci nella narrazione di un singolo minuto per intere pagine, o, viceversa, comprimendo secoli nello spazio di tre parole; concentrando tutta l’azione su un divano, in una stanza, o coprendo distanze siderali. Possiamo raccontare imprese epiche o ripercorrere una serie di quisquilie assolutamente quotidiane, immaginarci la nascita, la crescita e la morte di una intera civiltà o concentrarci sul fastidio causato da una pellicina del mignolo della nostra mano sinistra. Tutto dipende non solo da cosa, ma anche da come lo mettiamo in parola.

 

 

Quando si passa dal normale racconto personale, quotidiano, all’idea di scrivere un libro, molte delle persone che sognano di pubblicare qualcosa si interrogano su cosa sia degno di essere raccontato; si ricerca uno stile, certo, ma anche una vicenda che sia davvero memorabile. Ricordo la frase di una scrittrice che mi piace molto, la sinoamericana Amy Tan, che spesso parla degli usi e costumi della comunità cinese negli Stati Uniti: non serve raccontare storie eccezionali, perché anche il racconto di un’umile quotidianità può diventare avvincente, se gli si dà il respiro giusto. Forse quello che afferma Tan è vero; tuttavia, io spesso mi interrogo sulla possibilità di raccontare qualcosa che non è mai stato raccontato prima, e provo una sana invidia nei confronti di chi riesce a trovare degli spunti assolutamente inediti.

 

 

Di solito, io non ci provo nemmeno, a scrivere narrativa. Sono una persona che studia questioni di lingua e mi sento molto più a casa con la scrittura saggistica, per quanto divulgativa (nella quale, magari, fa la sua comparsa l’occasionale racconto). C’è stato un tempo, però, nel quale scrivevo anche altro, e avevo la testa piena di storie che desideravo mettere su carta. Era quasi tutta roba di poco conto, tranne un racconto di cui vado molto fiera e che vinse, in un altro tempo e spazio, perfino un premio di narrativa di un certo prestigio. L’idea che mi venne da sviluppare era la seguente: una donna misteriosa che pianta un roseto, ma non permette a nessun fiore di sbocciare perché lo recide prima. E lo fa in attesa che il suo amore torni da lei.

 

 

Poi, nella mia vita sono successe cose. In particolare, quello che all’epoca avevo considerato davvero l’amore della mia vita, morì in circostanze misteriose, poco prima di compiere vent’anni. La sua scomparsa ebbe su di me l’effetto di soffocare qualsiasi desiderio di racconto, qualsiasi abbozzo di storia, per molti, molti anni. È un gusto che mi sta tornando piano piano, che probabilmente è collegato al fatto  che, con il tempo, ho compreso il valore curativo, catartico della parola. Salus per verba.

 

 

Rimango ipercritica per quanto riguarda gli spunti per scrivere storie, le mie storie, intendo. Non mi pare di avere mai alcunché di interessante da raccontare, e non sono davvero in grado di inventare nulla, tranne che in rarissime occasioni; motivo per cui, casomai, preferisco parlare di cose che mi sono successe o che ho visto nel corso della mia vita: l’odiosamata autofiction. Ma forse proprio per questo sono particolarmente affascinata da coloro che riescono a inventarsi narrazioni che mi lasciano con un solo interrogativo: come diavolo gli è venuto in mente di scrivere questo? Raramente mi succede, di provare questo stupore, perché spesso ho la sensazione che le storie si ripetano, seppure narrate diversamente: quante famiglie disfunzionali? Quanti omicidi irrisolti? Quanti romanzi di formazione di ragazzi poveri? Quanti matrimoni infelici? Quante eroine solitarie? Quella volta che invece mi accade di rimanere trafitta dallo stupore della storia, beh, ripaga di tutti i libri men che memorabili che nel frattempo ho letto.

 

 

È andata così con una raccolta di racconti – un genere che pare non piaccia tanto al pubblico; io ne vado ghiotta – di Ted Chiang, Storie della tua vita. Dal racconto quasi omonimo, Storia della tua vita, è stato tratto il film di Denis Villeneuve Arrival (2016), che personalmente ho adorato: del resto, non capita spesso che la protagonista sia una linguista che deve decifrare un linguaggio alieno. Basato un po’ fantasiosamente su un’interpretazione hard dell’ipotesi Sapir-Whorf, il film suppone che la lingua che parliamo modifichi la nostra percezione della realtà. Quando la protagonista avrà dunque decifrato il linguaggio scritto alieno, fatto di logogrammi circolari che racchiudono in sé intere frasi, esperirà diversamente lo scorrere del tempo.

 

 

Il racconto, del quale non voglio svelare altro, è affascinante; ma quello che mi impressiona davvero è che ogni altra narrazione contenuta nel volume prende spunto da un soggetto davvero potente e davvero originale: dove porterebbe una torre costruita dagli umani per arrivare alla volta celeste? E se le apparizioni degli angeli fossero un evento ricorrente, che reca con sé una serie di dannosissimi effetti collaterali indesiderati? Cosa diventerebbe un essere umano in grado di comprendere perfettamente tutto? Una matematica che scoprisse l’assurdità di un assioma alla base della nostra conoscenza del mondo dei numeri riuscirebbe a mantenere la sanità mentale? Se le parole – giuste – avessero davvero il potere di animare la materia? Potrebbe essere utile provocare artificialmente nelle persone la calliagnosia, cioè l’incapacità di percepire la bellezza nelle altre persone?

 

 

Ma come ti sono venuti in mente questi spunti, caro Ted Chiang? La mia invidia nei confronti della tua capacità immaginifica è enorme. E i tuoi racconti, làsciatelo dire, bellissimi. E non preoccupatevi se solitamente non provate attrazione per la fantascienza: qui siamo oltre, nel filosofico, nella riflessione sulla natura umana, della vita, delle cose.

Vera Gheno

Sociolinguista, traduttrice dall’ungherese e divulgatrice, ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca e per quattro anni con la casa editrice Zanichelli. Ha insegnato come docente a contratto all’Università di Firenze per 18 anni; da settembre 2021 è ricercatrice di tipo A presso la stessa istituzione. La sua prima monografia è del 2016: Guida pratica all'italiano scritto (senza diventare grammarnazi); dopo vari altri volumi, nel 2021 pubblica Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole (con Federico Faloppa, Edizioni Gruppo Abele) e “Le ragioni del dubbio. L’arte di usare le parole (Einaudi). Nel 2023 è uscito per Rizzoli il suo libro Parole d'altro genere.

Lettura consigliata
Storie della tua vita
Ted Chiang
Lo studio di una lingua aliena; un ormone che aumenta l'intelligenza; un mondo funestato dalle apparizioni angeliche; il mito della Torre di Babele e quello del golem; una rivista scientifica del futuro; un ritocco al cervello che rende indifferenti rispetto alla bellezza; una rivoluzionaria dimostrazione matematica che finisce per negare il concetto stesso di matematica. Questi sono i soggetti degli otto straordinari racconti di Ted Chiang, tra i quali Storia della tua vita, la novella che ha ispirato il film Arrival. La bravura di Chiang sta nel rendere metaforiche e universali le sue storie grazie a un'intelligenza affilata, uno stile coinvolgente e un sapere enciclopedico.