A Baggio quando è buio è più buio che in centro.
Chiedetelo alla comunità di lucciole che si è rifugiata proprio qui, al Parco delle Cave, e ogni anno ripete la sua danza nuziale.
Sono nel vecchio borgo, quel che resta del paese fuori Milano che fu questo quartiere. Il buio più buio divora i cimeli scampati all’ammodernamento isterico in cui la città si contorce da decenni. Tra muri in pietra viva, villette a due piani e botteghe non ho ancora trovato quello che cerco.
Risalito per via Castrovillari, sono passato di fronte al centro sportivo. Proseguendo lungo via Noale, ho fatto un giro per il parco cinto dai palazzoni popolari. Ho camminato fino a via Cusago, al confine coi campi agricoli. Girando a destra e superando la rotonda, ho raggiunto Piazza Anita Garibaldi. Da lì una serpentina di strade mi ha consegnato alla facciata spiccia della chiesa simbolo del quartiere: quella dell’organo dipinto.
Dell’ultima cabina telefonica di Baggio, però, non c’è traccia.
Quando ho finito di leggere Papà Wolf di James Purdy, racconto ambientato in una cabina telefonica, mi è presa l’idea di riscriverlo.
Ho pensato di andare a studiarne una dal vivo. «Chi se le ricorda certe sensazioni», mi sono detto.
Ho cercato su Google, ma al posto di un puntino su una mappa ho trovato una notizia: nel 2015 dei volontari hanno trasformato l’ultima cabina telefonica nel quartiere in biblioteca di passaggio.
L’iniziativa ebbe vita breve. Dopo qualche giorno, Telecom sgomberò i libri, ridestinando la cabina alla sua inattività. Lo stesso giorno in cui il consiglio comunale approvava una procedura di conversione delle cabine telefoniche in servizi alla cittadinanza sul modello di altre città nel mondo. Tra i servizi ipotizzati – e qui la questione si fa memorabile – c’era il book crossing.
Passati otto anni, le poche cabine telefoniche in città sono rimaste quello che sono sempre state da quando tutti abbiamo un telefono alla seconda in tasca: niente.
La logica avrebbe indicato quella di Baggio come perfetta candidata al processo di riconversione del comune. Il Potere a Milano fa grandi dichiarazioni d’amore al civismo mitteleuropeo dei suoi abitanti. Un gruppo di cittadini che apre uno sportello di storie gratuite in un quartiere degradato, non può non essere stato premiato. Anche solo per seguire quel bisogno tutto milanese di fare di ogni cosa pubblicità posticcia.
Così sono andato a cercarla. E mi sono portato dietro «A casa quando è Buio». La copertina con il disegno del protagonista di Papà Wolf dentro la cabina del telefono farà una bella figura in mostra tra gli scaffali. Tanto sono uno da libri digitali ormai.
Mi rimetto in marcia.
Il buio più buio tanto poetico di Baggio non è esattamente un super potere quando fai slalom tra le merde di cane. Ci sono cartacce ovunque e i pochi ciuffi di verde strozzati tra muretti e strade piagnucolano una spazzolata.
Lungo Via delle Forze Armate tutto lo spirito polemico di Purdy mi pervade. Ho solo da imparare da uno che a nove anni ha iniziato a inviare lettere minatorie anonime, scrivendone a migliaia per quasi tutta la vita. Ma posso provarci lo stesso. Mentre oltrepasso la parte di strada incastonata di sanpietrini – non pavé, Baggio fa storia a sé anche nella pavimentazione stradale – penso a una serie di lettere che mi piacerebbe mandare. Inizio dai vicini, passando alla gente di quartiere, fino a disgregare in frammenti epistolari la mia scontrosità mai doma.
Egregia signora del quinto piano, l’altro giorno, quando fermava i condomini nell’atrio per chiedere conto di un’orma sulla passatoia, sa dove le avrei fatto cercare la prossima? Clientela della pasticceria siciliana, le portiere aperte di scatto quando si parcheggia in doppia fila sono un pericolo, ma ancora più pericolosa potrebbe essere una macchina che decida di non schivarle… Architetto che ha disegnato la nuova biblioteca, ci sono parchi in questo quartiere dove vendono roba migliore di quella che ha preso prima di mettere giù il progetto… E via dicendo, una ogni cinque passi.
Arrivo alle due rotonde che attorcigliano Via delle Forze Armate con Via Cabella, Via Palmi e Via Fratelli di Dio, ma della cabina non c’è traccia.
Un tizio seduto sulla panchina tra benzinaio, fioraio e edicola fissa la facciata dell’immensa chiesa evangelista. Chissà se nella sua testa frulla qualcosa di simile al Sermone di Dio che chiude la raccolta di racconti che ho in tasca.
Lo supero, lasciandomi le rotonde alle spalle e proseguendo lungo Via delle Forze Armate fino all’imboccatura delle Cave.
La cabina non è neanche qui.
Sono nel cuore del buio più buio e l’idea di andare oltre un po’ mi spaventa. Più in là il profilo del quartiere si fa feroce e angoloso. A quest’ora è più facile trovarci problemi che anticaglie metropolitane. Se almeno ci fosse una lucciola a guidarmi… ma no, meglio rincasare. La luce del mattino a Baggio, non tanto diversa dalle altre, sarà un’alleata migliore per la mia ricerca.
Passo di fianco al tizio di prima. In questo quartiere tanta gente è rimasta per tutta la vita e lui mi sembra abbastanza vecchio da far sperare che abbia una risposta alla domanda che mi ha scortato per tutta la passeggiata notturna.
Chiedo, «scusi, dove potrei trovare una cabina telefonica?»
Mi guarda come fossi un alieno e risponde, «l’hanno rimossa due anni fa, era in Via Masaniello. Ma che te ne fai? Usa il telefonino».
Incassando la notizia come una scossa, dico, «perché l’hanno tolta?»
«E che ne so?», esclama lui.
«Tutto qui, nessuno ha detto nulla?»
«E che dovevamo fare una rivoluzione?»
Mandandomi al diavolo, si alza e se ne va.
Avrò fatto la figura del matto, proprio in stile Purdy.
In fondo succede di inseguire una storia e restarci male.
P.S.
Non so se possa valere come minaccia, cari burocrati del comune, ma sappiate che almeno una persona continuerà a raccontare la storia dell’ultima cabina telefonica di Baggio.